E’ stato presentato il mese scorso a Roma il Rapporto Biennale dell’Agenzia di Valutazione del sistema Universitario e della Ricerca (ANVUR) dal titolo il “Rapporto sullo stato del sistema universitario e della ricerca per il 2013”.
La fotografia rilasciata dall’ANVUR è piuttosto deprimente: l’Italia risulta tra i paesi con la più bassa percentuale di laureati anche tra i più giovani e, nonostante l’incremento dei titoli in questa fascia di età, non si è affatto ridotto lo scarto rispetto ai valori medi europei, di gran lunga superiori. E’ sempre più evidente la progressiva disaffezione dei nostri diplomati nei confronti dell’Università. Il tasso di passaggio scuola-università risulta di ben 11 punti inferiore a quello medio europeo. Gli immatricolati con almeno 25 anni sono soltanto l’8% del totale contro un valore medio del 17%. E’ notevole la flessione del numero delle immatricolazioni.
Nonostante la difficoltà per i diplomati di trovare lavoro, l’Università non rappresenta più, evidentemente, un’appetibile area di parcheggio in attesa di prospettive future migliori né, tanto meno, l’utile ascensore sociale che ne ha caratterizzato la funzione negli anni passati. Rimane alto, nonostante il 3+2, il numero degli abbandoni e basso il numero di coloro che ottengono il titolo, anche di primo livello, negli anni previsti. La media, per una laurea triennale, è di 5,1 anni. Eppure la laurea conviene, ce lo dice da tempo ‘AlmaLaurea’, ma questa constatazione non è però in grado di motivare a sufficienza studenti e famiglie a proseguire gli studi.
Anche il neo-Ministro Giannini si è dimostrata preoccupata, e riconosce nel sapere e nella conoscenza un essenziale strumento di riscatto sociale e giustamente considera il calo delle immatricolazioni una questione politica. Afferma inoltre la necessità di migliorare l’immagine del nostro sistema universitario per renderlo nuovamente attrattivo per gli studenti ed i docenti stranieri. Anche per il diritto allo studio è stato apprezzabile sentire la Ministra denunciare l’ignominia degli idonei senza borsa.
Tutto questo alla vigilia delle prove Invalsi: dal 6 maggio al 19 giugno, oltre due milioni di alunni italiani affronteranno il test per la valutazione delle competenze in Italiano e Matematica. Uno strumento che dovrebbe servire a individuare le criticità del sistema formativo nazionale e adottare iniziative volte a eliminare le differenze fra i diversi territori. Quest’anno, si inizia con gli alunni delle seconde e quinte elementari, e il 13 maggio sarà la volta degli studenti del secondo anno delle scuole superiori che in un giorno solo si cimenteranno con la prova di Italiano, quella di Matematica e il questionario studente che raccoglie le informazioni sul contesto di provenienza degli alunni. Si chiude il 19 giugno con la prova nazionale cui saranno sottoposti gli studenti alle prese con gli esami di licenza media.
Prende il via anche la polemica contro la cd “scuola-quiz” , e anche quest’anno scenderanno in piazza i Cobas, che vogliono scioperare e boicottare i quiz Invalsi con manifestazioni provinciali”. Contraria la neo presidente dell’Invalsi, Anna Maria Ajello,che crede nell’efficace dello strumento che nasce per misurare gli apprendimenti e offrire alle scuole i dati, confrontabili con gli altri istituti dello stesso contesto e di contesti diversi, per attivare misure volte a migliorare le performance degli alunni.
Le indagini degli anni scorsi hanno ormai delineato un quadro abbastanza netto. Con gli alunni delle regioni meridionali che arrancano e i compagni di quelle settentrionali che ottengono punteggi paragonabili ai migliori studenti del mondo. Un divario che cresce con le classi frequentate dagli stessi alunni. Al secondo anno delle superiori il gap tra i quindicenni siciliani e i coetanei lombardi arriva a 31 punti: l’equivalente di un anno di studi. Divario che in Matematica sale addirittura a 34 punti. Ma che va di pari passo con la povertà relativa delle famiglie italiane. Più povero (economicamente, ma anche dal punto di vista sociale) è il contesto di provenienza degli alunni, più i risultati lasciano a desiderare.