Laureati in Italia rispetto al resto d’Europa: il bilancio

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I laureati in Italia, dopo aver completato il proprio percorso di studi, riscontrano numerose difficoltà rispetto ai colleghi di altri paesi europei, per poter trovare un lavoro.

L’accesso alla carriera non è un dato scontato come può essere per i laureati che vivono in Francia o in Germania, dove il diritto ad avere un lavoro per le proprie competenze acquisiste è garantito, e che spesso hanno un’occupazione senza nemmeno averla dovuta cercare o hanno iniziato un’attività in proprio.

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Il nostro sistema lavorativo è meno definito rispetto ai modelli europei, differenziato in tante professioni che però non sempre trovano la giusta collocazione sul mercato.

L’elemento che lo caratterizza è l’alta flessibilità dell’offerta che è più alti in tutti gli altri paesi, mentre la ricerca di lavoro è meno intensa, ma abbastanza estesa ed è caratterizzata da un massiccio ricorso ai contatti diretti con i datori di lavoro e alle relazioni personali, soprattutto quelle amicali.

Poiché l’offerta scarseggia i laureati italiani si adattano e accettano lavori diversi dalle proprie competenze per sopperire al gap occupazionale.

Per avere una panoramica generale della condizione dei laureati in Italia rispetto ai paesi europei ho deciso di partire dalle prime ricerche sociologiche svolte a partire dal 2000, per delineare il profilo dei laureati italiani, fino a riguardare i dati statistici più recenti.

Ecco uno stralcio della ricerca “Laureati italiani e europei a confronto” condotta nei primi anni del 2000 dal professore di sociologia dei processi economici e del lavoro, Michele Rostan, direttore del Centro interdipartimentale di studi e ricerche sui sistemi di istruzione superiore (CIRSIS).

Il testo pubblicato nel 2006 rivela un’analisi molto attenta sulla condizione dei laureati italiani rispetto a quelli europei e trova ancora oggi, dopo dieci anni, notevoli riscontri. Infatti, se da un lato, le statistiche sull’occupazione possono leggermente cambiare, la struttura dell’economia di mercato del nostro paese rimane invariata.

bilancio dei laureati in italia rispetto al resto d'europa

Il professore Rostan sottolinea come i canali formali di incontro tra domanda ed offerta (rispondere alle inserzioni, pubblicare un annuncio, inviare cv tramite lettera di presentazione alle aziende di riferimento) risultino poco importanti. Ciò evidenzia una carenza nel sistema di reclutamento che spesso non è meritocratico, ma cooptativo.

Inoltre, le università italiane danno un contributo ancora limitato per l’inserimento professionale dei laureati, rispetto agli altri paesi europei.

bilancio dei laureati in italia rispetto al resto d'europa

La situazione nel 2015

Ad Aprile 2015 l’Italia ha sposato il triste primato di avere il numero più basso di laureati in tutta Europa. I dati sono stati diffusi da Eurostat sullo stato dell’Istruzione nell’Unione Europea.
Il 23,9% dei giovani italiani, con un età compresa tra i 30 e i 34 anni possiede un titolo di laurea, si tratta di cifre piuttosto basse rispetto alla media europea che si attesta sul 37,9%.
Si tratta comunque di un dato confortante, in quanto questa media è aumentate di 1,4 %  punti percentuali rispetto al 2013.

Nel 2002, la percentuale di laureati tra i trentenni era di appena 13,1%, molto al di sotto delle aspettative fissate dall‘Unione Europea per il 2020, anno in cui tutti i paesi dell’eurozona dovrebbero raggiungo l’obiettivo minimo del 26% di laureati tra la popolazione giovanile.

Obiettivo già ampiamente raggiunto e superato da molti paesi europei, tra cui:

  • Paesi Scandinavi
  • Spagna
  • Francia
  • Germania
  • Lituania
  • Cipro
  • Irlanda

Per quest’ultimi, infatti, si parla di percentuali prossime o superiori al 50%.

Le disparità di genere

In Italia, la situazione relativa al 2015 rivela che nel paese sussistono forti disparità di genere, dove le donne ancora sono relegate in attività domestiche ed escluse dalla partecipazione attiva. Con gli uomini molto in ritardo sia rispetto alle colleghe laureate che ai loro coetanei europei. In Italia solo il 18,8 dei trentenni possiede una laurea (contro il 33,6% della media UE), mentre la percentuale delle donne è arrivata a quota 29,1% (il 42,3% in Europa).

Per il futuro la situazione non prevede miglioramenti, anzi l’obiettivo dichiarato dal nostro paese (già ultimo ad oggi), infatti, è il meno ambizioso di tutta l’eurozona (circa il 26-27% entro il 2020).

Una nota positiva, da non trascurare, è il raggiungimento dell’obiettivo per quel che riguarda il contrasto dell’abbandono scolastico: il nostro paese, infatti, è una delle 15 nazioni europee ad aver centrato l’obiettivo di ‘Europa 2020’ per la riduzione dell’abbandono scolastico sceso, nel 2014, dal 16,8 al 15%.

Il rapporto Ocse – “Education at a glance”

L’OCSE è stata istituita con la Convenzione sull’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economici, firmata il 14 dicembre 1960, e ha sostituito l’OECE, creata nel 1948 per gestire il “Piano Marshall” per la ricostruzione post-bellica dell’economia europea.

Ne fanno parte oggi 35 Paesi (Australia, Austria, Belgio, Canada, Cile, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Giappone, Grecia, Irlanda, Islanda, Israele, Italia, Lettonia, Lussemburgo, Messico, Norvegia, Nuova Zelanda, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Repubblica Ceca, Repubblica di Corea, Repubblica Slovacca, Regno Unito, Slovenia, Spagna, Stati Uniti, Svezia, Svizzera, Turchia, Ungheria), che si riconoscono nella democrazia e nell’economia di mercato.

Gli obiettivi dell`OCSE sono di sostenere la crescita economica sostenibile, aumentare l’occupazione, innalzare il tenore di vita, mantenere la stabilità finanziaria, assistere lo sviluppo delle economie dei Paesi non membri, contribuire alla crescita del commercio internazionale. Grazie alle attività dell`OCSE, i Paesi membri possono comparare le differenti esperienze, cercare risposta ai problemi comuni, identificare le best practices e coordinare le politiche nazionali ed internazionali.

L’Italia, nella classifica dei 35 Paesi più industrializzati al mondo, si piazza all’ultimo posto per il numero di giovani laureati e quartultima per i soldi investiti nelle università, in rapporto al Pil. Questo è emerso dal rapporto Ocse, “Education at a glance” presentato al Miur, dove l’istruzione superiore mostra più carenze dal punto di vista della sua efficacia e desta preoccupazioni, in quanto, si rischia di condannare il paese ad un declino economico.

Nel nostro paese, emergono i laureati con un età dai 25 ai 34 anni con un titolo equivalente al master, rispetto alle lauree europee, in quanto la nostra laurea triennale è considerata come un gradino intermedio alla laurea magistrale.

Nell’analisi, dunque, emerge un dato importante: tra le figure professionali, mancano i quadri intermedi che sarebbero tanto utili alle aziende, mentre ad esempio, in Francia, gli istituti universitari di tecnologia sono molto frequentati, tali da produrre informatici specializzati.

Disattenti agli esiti lavorativi, i nostri atenei si rivelano carenti anche sul fronte delle competenze di base: molti studenti universitari hanno difficoltà a sintetizzare informazioni provenienti da testi lunghi e complessi. I nostri studenti sono molto abili nell’avere menti dotte, ma poco pratiche.

Ciò vuol dire che il nostro sistema scolastico investe nell’alta formazione, ma nelle professioni intermedie non riesce a creare manodopera sufficiente. Questa carenza la si riscontra soprattutto nei ragazzi che frequentano gli istituti superiori.

Ciò dipende da un sistema formativo che non si confronta con le richieste da parte del tessuto industriale, fatto di piccole e medie imprese, e quindi resta un settore scoperto.

Fatto sta che il vantaggio relativo della laurea ai fini di un impiego si è assottigliato al punto da essersi rovesciato: il tasso di occupazione di chi ha fatto l’università è di un punto percentuale inferiore a chi ha solo il diploma (62% contro il 63%).

Alla base di tutti questi ritardi, sta il dato di fondo della estrema scarsità di risorse investite: appena lo 0,9% del Prodotto interno lordo, la metà del Regno Unito (1,8%) e comunque molto meno della Germania e della Francia (1,2% e 1,4%).   

La situazione nel 2016

Dai dati Istat, emerge un quadro molto spento per l’intera penisola. L’Italia è una terra fatta di una popolazione che invecchia, dove i giovani non riescono a trovare lavoro.

C’è da valutare un elemento molto importante, che se nel 2015 l’Italia è uscita finalmente dalla crisi, registrando per la prima volta dopo tre anni una crescita del Pil, nel Paese crescono le diseguaglianze dal punto di vista della distribuzione del reddito.

Lo rileva l’Istat nel rapporto annuale 2016, sottolineando che a pesare sono, in particolare, le differenze di genere, di età, di titolo di studio e di posizione contrattuale (in particolare la stabilità dell’occupazione) e la famiglia di provenienza.

Con l’inizio dell’anno, i dati rilevati da Eurostat parlano ancora chiaro: solo un ragazzo italiano su due trova lavoro entro due anni dalla laurea.

Anche stavolta si tratta del dato peggiore riscontrato in Europa, l’Italia è al penultimo posto prima della Grecia. Purtroppo non è cambiato ancora nulla.

La media europea riscontrata nel 2014 (anno a cui si riferisce l’analisi) era infatti dell’80,5%, contro il 52,9% dell’Italia.

In Germania la percentuale è del 93,1%. Per i diplomati la situazione è ancora peggiore, con solo il 30,5% che risulta occupato a tre anni dal titolo. La percentuale sale al 40,2% tra chi ha un diploma professionale.

Nel complesso, gli italiani tra i 20 e i 34 anni usciti da un percorso formativo e occupati erano nel 2014 solo il 45%, contro una media europea del 76%: oltre trenta punti in meno.

La distanza è ancora maggiore se si prendono come riferimento la percentuale registrata in Germania, che è del 90%, e quella della Francia, al 75,2%.

Il crollo si è registrato in seguito alla crisi economica e alla stretta sull’accesso alla pensione, che ha tenuto al lavoro la fascia di età più anziana. Ma in Italia è stato molto più marcato che nel resto d’Europa.

In particolare tra il 200 e il 2014 la media di giovani occupati a tre anni dal titolo nell’Unione europea è scesa di otto punti, dall’82% al 76%, mentre in Italia è crollata di oltre venti punti dal 65,2% al 45%.

Nello stesso periodo, in Francia la percentuale è passata dall’83,1% al 75,2%, mentre in Germania il trend è stato opposto: è cresciuta dall’86,5% al 90%. Nel Regno Unito la percentuale è rimasta stabile passando dall’83,6% all’83,2%.

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Il dato è migliorato rispetto al 19,2% del 2008 ma meno di quanto abbiano fatto in media gli altri paesi Ue: la percentuale era al 31,2% nel 2008 ed è quindi cresciuta di oltre sei punti.[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]