Abbiamo presentato il mese scorso i risultati del 17° rapporto AlmaLaurea sulla condizione occupazionale dei laureati, nel quale si indicava una sostanziale tenuta del tasso di occupazione ad un anno dal titolo; inoltre, a cinque anni dal titolo, l’occupazione, indipendentemente dal tipo di laurea, risulta prossima al 90%.
Dopo aver analizzato la condizione occupazionale dei laureati a 1 anni dal titolo che hanno scelto di trasferirsi all’estero, oggi valutiamo la loro scelta a 5 anni dal titolo.
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L’analisi delle caratteristiche, di curriculum e occupazionali, dei laureati magistrali a cinque anni dal titolo conferma, sostanzialmente, il quadro evidenziato ad un anno.
A cinque anni dalla laurea lavora all’estero il 6% degli occupati (si ricorda che si escludono i cittadini stranieri, +2 punti rispetto a quello rilevato, sul medesimo collettivo, ad un anno dal titolo). Gli occupati all’estero provengono in misura relativamente maggiore dai gruppi ingegneria (28%), economico-statistico (15%), politicosociale (13%) e linguistico (11%).
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Così come evidenziato ad un anno, anche i laureati 2009 a cinque anni trasferitisi all’estero per lavoro presentano caratteristiche di curriculum mediamente più brillanti: nel dettaglio, il 59% ha un punteggio negli esami universitari più elevato rispetto alla media dei colleghi del proprio corso di laurea (tra coloro che lavorano in madrepatria la percentuale è invece del 51%). Le differenze in termini di regolarità sono consistenti: la quota di coloro che hanno conseguito il titolo entro il primo anno fuori corso è pari al 91% tra i laureati italiani occupati all’estero e all’87% tra quelli rimasti a lavorare in Italia.
Anche a cinque anni dal titolo si confermano le migliori chance occupazionali offerte all’estero e rappresentate in particolare da una maggiore quota di contratti a tempo indeterminato (60% contro il 49% di chi è rimasto a lavorare in Italia). Il lavoro autonomo è invece decisamente più frequente tra coloro che sono rimasti in madrepatria a lavorare (21% contro 6%). Ampiamente diffusi all’estero anche i contratti non standard (26%), 11 punti percentuali in più rispetto ai laureati rimasti in patria.
Gli occupati italiani all’estero, a cinque anni, dispongono di un guadagno mensile netto notevolmente superiore alla media (2.146 euro contro i 1.298 degli occupati in Italia). L’analisi longitudinale tra uno e cinque anni sul medesimo collettivo evidenzia inoltre che le retribuzioni nominali aumentano, con il trascorrere del tempo, in particolare tra coloro che lavorano all’estero (+37%, contro +23% di chi rimane a lavorare in Italia).
Tali divari si riducono rispettivamente al 28% e al 15% se consideriamo i salari reali.
Infine, l’analisi circoscritta a coloro che hanno iniziato a lavorare dopo la laurea e lavorano a tempo pieno conferma le tradizionali differenze di genere, sia tra quanti lavorano all’Estero che in Italia.
La laurea risulta più efficace per chi ha deciso di trasferirsi all’estero: risulta infatti efficace per il 59%, contro il 55% di chi decide di restare in patria. Più nel dettaglio, analizzando separatamente le variabili che compongono l’indice si nota che il 51% di coloro che lavorano all’estero utilizzano le competenze acquisite durante gli studi in misura elevata, 6 punti percentuali in più rispetto ai colleghi in Italia. Ancora, per 33 occupati oltre confine su cento (sono 30 su cento tra chi è rimasto in madrepatria) la laurea è di fatto richiesta per legge, mentre per 27 occupati su 100 risulta di fatto necessaria (20 occupati su cento in Italia).
Infine, si riscontra una maggiore soddisfazione tra chi lavora all’estero e, seppur con diverse intensità, ciò risulta confermato per tutti gli aspetti del lavoro sondati (con la sola eccezione per l’utilità sociale dell’impiego). In particolare, le differenze più consistenti riguardano le prospettive di guadagno (7,4 contro 6,2 di chi lavora in patria) e di carriera (7,4 contro 6,3), la flessibilità dell’orario (7,7 contro 6,9) e il prestigio che si riceve dal lavoro (7,6 contro 6,8).