E’ il quarto allarme in pochi mesi della Conferenza dei rettori (Crui). Metà degli atenei italiani oggi è tecnicamente in default, dicono i rettori dopo l’ultima assemblea interna. Tutte le università italiane vivono alla giornata, dicono ancora rivolgendosi al nuovo governo, al premier Enrico Letta, al ministro Anna Maria Carrozza.
La situazione del Fondo di finanziamento ordinario per il 2013 non è più sostenibile. Rispetto al 2009, quando lo Stato erogò 7,450 milioni di euro per tutti, il finanziamento ordinario è sceso a 6,690 milioni: in quattro stagioni la decurtazione è stata pari all’11 per cento (meno 4,6 rispetto al 2012). Il taglio porterà la metà degli atenei nell’area fallimento. Secondo i limiti imposti, nel rapporto tra personale e indebitamento non si può superare l’82 per cento: ormai il personale interno costa il 95 per cento dei trasferimenti statali. Per evitare il crack gli atenei bloccheranno definitivamente il reclutamento (docenti e ricercatori sono sempre più anziani, “non ci sono paragoni nel mondo”) deprimendo le facoltà virtuose. Per i docenti di prima fascia, va detto, il blocco è in piedi da sei anni.
Il finanziamento del diritto allo studio per il 2014 è “in percentuali ridicole”, sottolineano i rettori italiani: la copertura dei “capaci e meritevoli” per l’anno in corso è attorno al 60 per cento, sotto il 50 in diverse università del Sud. Il prossimo anno, a finanziamento attuale, le borse di studio non potranno essere più di duemila. Manca “una qualunque politica seria della residenzialità universitaria”, e qui si parla del caro affitti per gli studenti che vivono nelle città metropolitane. La burocrazia, poi, soffoca tutto: ci vogliono regole semplici e stabili, la complessità decisionale ed esecutiva “sta spegnendo ogni sforzo di innovazione e cambiamento”. Le università italiane hanno difficoltà a impiegare i fondi di ricerca sul capitolo missioni. E il “blocco arredi” del governo Monti (si può spendere il 20 per cento di quello che si è speso nel 2012) sta fermando ogni progetto per nuove aule e laboratori, spesso pagati con fondi recuperati dai singoli atenei e non grazie ai trasferimenti di Stato.
Che serve, allora, per evitare un tracollo epocale dei luoghi italiani dove si fa ricerca e si sviluppa la conoscenza? I rettori chiedono una soluzione definitiva e di respiro pluriennale (“almeno un triennio”) per la programmazione finanziaria delle università e del diritto allo studio, che va finanziato con 150 milioni l’anno per tre stagioni. Ottanta milioni servono solo per le scuole di specializzazione di Medicina. E, si scrive all’unanimità, ci vogliono un controllo e una valutazione per le sfuggenti università telematiche (oggi sono undici).
fonte: la Repubblica 29/05/2013