L’ascolto degli studenti è uno dei cardini su cui si gioca tutto il processo di apprendimento. Farsi ascoltare non è solo un obiettivo del docente, funzionale a rendere possibile la spiegazione di una lezione, bensì un presupposto su cui si fonda in primis l’alleanza educativa.
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Il primo giorno di scuola del docente
Come docente puoi richiamare alla memoria il tuo primo giorno di scuola, quando sei entrato per la prima volta in una classe con tanti obiettivi e molte risorse. In quel momento, hai dovuto stabilire le regole che ti hanno consentito di lavorare tutto il resto dell’anno con i tuoi allievi.
In primo luogo è stato necessario attirare la loro attenzione e soprattutto fissarla. Se infatti l’essere docente ti garantisce i primi minuti di interesse connessi al tuo ruolo, poi il grande obiettivo rimane quello di mantenere l’attenzione costante e funzionale a poter trasferire loro gli apprendimenti. Mi piace molto ricordare le prime pagine di uno dei classici più belli della letteratura per l’infanzia, “Alice nel paese delle meraviglie”.
Proprio come Alice, alcuni studenti non ne possono più di recepire contenuti didattici con la modalità tradizionale, che li pone in una posizione spesso di ascolto passivo e la loro mente divaga, consentendogli di estraniarsi da un contesto che in quel momento diventa semplicemente “noioso”.
Questa infatti è spesso la constatazione che molti ragazzi portano, come motivazione alla loro distraibilità durante le ore scolastiche. Qual è allora il segreto per attirare l’attenzione dei propri allievi e fare in modo che rimangano in ascolto?
La motivazione degli studenti
Per comprenderlo dobbiamo fare un salto concettuale e parlare in primo luogo di motivazione e costrutti motivazionali alla base dell’apprendimento. Nelle diverse teorie motivazionali, vengono sottolineati due elementi: il valore attribuito al compito e l’aspettativa che l’allievo ha sulle possibilità di portarlo a termine in modo adeguato.
Ripensa per un attimo ai tuoi allievi. Quanti di loro avranno pensato: “perché devo imparare questa lezione di latino?”, “A che mi serve fare tutti questi esercizi di matematica?” Ovvero, “Perché devo studiare questa materia?”. Se l’allievo non trova buoni motivi, decade la sua soglia di attenzione e con essa la motivazione ad apprendere.
La motivazione, che è alla base del valore che viene assegnato ad un compito, può nascere da due diverse direzioni. Può essere intrinseca, ovvero ricadere nell’ambito della curiosità, dell’interesse per la conoscenza, del senso di autodeterminazione che porta ad impegnarsi, oppure essere estrinseca, cioè legata a rinforzi, quali buoni voti o lodi da parte del docente.
Gli studenti che godono di motivazione intrinseca saranno più motivati da compiti che presuppongono la sfida e che stimolano l’impegno, mentre quelli che godono di motivazione estrinseca saranno motivati da compiti che presuppongono una ricaduta positiva prestazionale e rinforzi del docente.
Non è pertanto in quest’ultimo caso il compito a motivarli, bensì il rinforzo. Ma l’essere motivati allo studio, pur essendo un prerequisito essenziale, non è sufficiente a mantenere l’attenzione sul compito. Un ragazzo anche ben motivato, può distrarsi facilmente e non riuscire a portare a termine il proprio obiettivo didattico.
Per approfondire: come scegliere il corso di laurea.
La volontà degli studenti
Per comprendere cosa lega la motivazione all’attenzione, puoi immaginare una fase antecedente all’azione, in cui è determinate la motivazione, ed una successiva, in cui è determinante la volontà.
Mentre la motivazione porterà il soggetto a focalizzarsi su un obiettivo didattico, sarà solo con la presenza di una volontà all’azione, che egli si sentirà motivato e porterà a termine un compito.
All’interno dei processi volitivi, sono implicati il controllo dell’attenzione, quello del pensiero, e l’attività di pianificazione, funzionali alla realizzazione del compito. Rapportato alla nostra dimensione scolastica, posso verificare se il mio allievo è motivato a studiare la mia materia e soprattutto cosa lo motiva, mentre se lo vedo impegnarsi sono sicuro che stia mettendo in atto delle strategie attentive e di pianificazione dei processi di apprendimento, per essere poi promosso.
Per quanto riguarda la dimensione volitiva, l’allievo deve mettere in atto una serie di meccanismi di autoregolazione, che lo portano a dirigere l’attenzione al compito, o alla lezione, nel caso della didattica in ambito scolastico. Questo complesso sistema di regolazione, implica che egli selezioni le informazioni utili da ciò che io spiego, controlli gli aspetti emotivi, fattore che in adolescenza risulta una grande sfida, e controlli la motivazione al compito.
Quando come docente faccio delle richieste prestazionali al mio allievo, egli dovrà in primo luogo migliorare la sua capacità attentiva, focalizzandosi su alcuni aspetti di ciò che gli propongo, prefigurarsi una serie di passaggi mentali – operazione che implica spesso l’uso dell’immaginazione – focalizzare le strategie, che gli consentono di riorganizzare gli apprendimenti in modo da facilitare l’esecuzione del compito richiesto.
Un po’ come se si costruisse una sorta di mappa mentale, che facilità la padronanza della parte esecutiva. L’attenzione è quindi profondamente connessa alla volontà e soprattutto è una componente senza la quale lo studente non apprenderà. Egli presterà attenzione a quei contenuti che sono stimolanti dal punto di vista cognitivo, quindi che lo tengono impegnato.
La valutazione e verifica degli studenti
Come docenti inoltre, accade spesso che l’attenzione diventi uno dei principali parametri, che viene tenuto in considerazione per definire il comportamento degli allievi. Alcuni di loro mostrano di riuscire a seguire la lezione perfettamente, mantenendo la concentrazione e, quando fate domande, vi fanno comprendere come abbiano fissato l’attenzione ad alcuni contenuti salienti. Altri studenti invece, utilizzano l’attenzione in modo non adeguato, concentrandosi sul proprio universo interno, lasciandosi prendere da variabili emotive e relazionali.
Quando uno studente non ascolta infatti, non sempre è perché non ha adeguata motivazione, come abbiamo precedentemente detto, ma perché il suo universo emotivo diventa predominante. Non sempre l’attenzione è correlata al successo scolastico. Accade infatti che una eccessiva attenzione possa anche essere presupposto di una prestazione negativa. In questo senso compiti di natura intellettuale, richiedono un’autoregolazione dei livelli di eccitazione legati all’attenzione. Infatti il livello di attenzione, è legato allo stato di allerta e uno stato di allerta elevato è correlato con un abbassamento del livello prestazionale.
Quando ad esempio uno studente ansioso per l’interrogazione cerca di studiare il più possibile e talvolta supera lo stato di eccitazione ottimale, in una fase di verifica può rendere in modo non adeguato. Anche la natura del compito ha un ruolo importante nel mantenimento dei livelli di attenzione. Compiti facili sono poco stimolanti e fanno decrescere il livello di eccitazione, compiti che portano una “novità” o modalità differenti di presentazione dei contenuti didattici faranno invece aumentare il livello di eccitazione.
A questo punto diventa chiaro che l’attenzione è una dimensione che dipende dalla regolazione e presenza di più fattori, sia di natura ambientale che legati al compito, ma anche da fattori soggettivi, come lo stato psicofisico del ragazzo, la sua capacità di autocontrollo, l’autoregolazione emotiva, l’equilibrio del suo mondo interno.
Cosa può fare il docente?
Questa prima declinazione dei processi attentivi ha reso necessario focalizzarsi sugli allievi. Il docente quindi che ruolo ha? Cosa può fare? Come docente puoi agire focalizzandoti su due obiettivi
Il primo ti richiederà la modificazione dell’organizzazione della tua attività didattica, in modo da renderla più coinvolgente. In questo senso potrai inserire ad esempio lavori in team o dare compiti da eseguire per generare inferenze. Il secondo obiettivo, è in parte più complesso, ma ricade pienamente nelle tue possibilità, ovvero di rendere lo studente consapevole di sé come soggetto che apprende e che può utilizzare un atteggiamento strategico, funzionale a maturare nuove conoscenze.
Gli studenti non hanno la stessa percezione della materia che hai tu come docente. Per loro alcune materie sono più significative di altre e la curiosità rispetto allo studio è mediata anche da fattori relazionali. Se il rapporto con il docente è buono, non vengono agiti atteggiamenti di prevaricazione di ruolo da parte del docente e/o punitivi, lo studente si appassionerà alla materia.
A posteriori molti studenti riconoscono che quella data materia poteva anche piacergli, ma che il rapporto con il docente ha inficiato, sia la curiosità rispetto agli argomenti che il conseguente impegno. Viceversa alcuni riportano come alcune materie, che fino ad una certa età erano per loro poco interessanti, siano diventate interessanti perché è sopraggiunto un nuovo docente che “amava” quello che insegnava.
Rispetto alla gestione del gruppo classe pertanto, come docente puoi valutare quante volte ti trovi a sollecitare i tuoi studenti a stare più attenti. Se lo fai spesso, puoi provare a gestire le unità didattiche in modo differente, ricordando che gli stili di apprendimento sono molteplici e che non tutti apprendono allo stesso modo.
È molto interessante riflettere ad esempio sui tempi delle lezioni. Nel nostro sistema scolastico vengono previsti tempi molto sequenziali. Le lezioni si susseguono, di fatto senza intervalli e questo a scapito dei livelli di attenzione e concentrazione degli allievi. In altri contesti scolastici europei invece, le lezioni vengono intervallate da 15 minuti di pausa, proprio per consentire ai ragazzi di non stancarsi cognitivamente. Lo studio infatti non è un’attività routinaria.
Lo studente non studia allo stesso modo di come guida una macchina. Egli deve mettere in atto dei processi intenzionali, ogni volta diversi, per concentrarsi su ciò che viene detto e passare da un registro ad un altro quando cambia la materia.
Succede pertanto che ogni ragazzo trovi la sua strategia per “prendersi tempo” e per “riposare”, che può andare dal chiedere di uscire dalla classe ripetute volte nell’arco della giornata, a giocherellare con la penna mentre il docente spiega o interroga. La domanda iniziale allora va posta in modo diverso. Il problema non è solo perché gli studenti non sono attenti, ma come faccio a motivarli.
Perché gli studenti non ascoltano?
Un docente una volta si espresse in questo modo rispetto ad una sua classe: “questa classe non mi motiva”, lasciando trapelare quanto il suo focus fosse totalmente alterato. Ad oggi penso sia stato un vero peccato, perché il docente in questione era davvero competente nella sua materia. Se solo avesse compreso che davanti a sé aveva persone e che ognuno è diverso e potenzialmente in grado di acquisire e far propri tutti i suoi insegnamenti, forse sarebbe stato meno scontento. Questo porre l’attenzione sul proprio operato, questa sorta di centratura sul docente, va alternata con una doverosa centratura sull’allievo, affinché si realizzi ciò che è alla base del processo di insegnamento/apprendimento, “l’e-ducere”, il tirar fuori da ognuno tutte le potenzialità che possono essere espresse in un individuo.
In sintesi è importante che il docente si metta in discussione rispetto alle sue strategie di gestione e motivazione del gruppo aula e che, parallelamente, comprenda anche i diversi meccanismi sottesi ai processi attentivi. Solo così potrà rendere i contenuti didattici funzionali a favorire gli apprendimenti negli allievi.