Il fiume di critiche contro la decisione della ministra Stefania Giannini di abolire il test di Medicina sostituendolo con un esame di sbarramento alla fine del primo anno non si arresta. A scendere in campo contro il “modello francese” ora è l’associazione di medici e odontoiatri, la Fnomceo, che storce il naso su di una riforma che “non risolve le criticità, che pure ci sono nel numero chiuso, e rischia di farci tornare indietro di decenni”.
Contrari i docenti, contrarie alcune associazioni studentesche, contrari addirittura gli studenti: l’idea di importare il metodo d’oltralpe in Italia per bypassare il test di ammissione a Medicina a molti non piace per tanti i motivi che vi abbiamo illustrato nel nostro articolo di ieri. Secondo Maurizio Benato, vice presidente della Fnomceo, “l’immissione al primo anno di Medicina di tutti quelli che vogliono intraprendere la professione, un esercito di 80mila candidati ogni anno, può mettere in crisi le università e ridurre la possibilità di un accesso allo studio di qualità. La proposta della Giannini potrebbe distruggere la formazione che viene fatta nel primo anno“.
Chiara la posizione della Fnomceo nei riguardi del modello francese: “Gli esami del primo anno hanno molte scienze come chimica, fisica e biologia, elementi costitutivi del bagaglio degli studenti che accedono a queste facoltà. Fare una selezione dura dei futuri medici come dice la Giannini solo al secondo anno ci lascia molto perplessi e mette nelle mani dei singoli atenei una discrezionalità troppo forte”, dichiara Benato. Di qui la presa di posizione di medici e odontoiatri: “Metteremo in atto tutte le possibilità che abbiamo come Federazione degli Ordini dei medici per ostacolare questa riforma”.
Fortemente critico anche il Rettore de La Sapienza di Roma, Luigi Frati, secondo cui il suo Ateneo non riuscirebbe a reggere l’urto “dei 10 mila iscritti che ogni anno provano i test e che entrerebbero senza selezione, come vorrebbe la proposta avanzata ieri dal ministro Giannini. Ma a quel punto a noi dovrebbero dare il Foro Boario per accoglierli tutti: non ci sono professori e aule per questi numeri”. “E poi mi chiedo – prosegue il Rettore – se il prossimo anno si iscrivono in tutte le facoltà in 100mila, dopo il primo anno a chi non supera le prove, migliaia di ragazzi, che diciamo? La proposta del ministro Giannini può essere suggestiva per chi sogna di fare il medico, ma se poi al secondo anno è respinto come prevede la proposta, che gli facciamo fare, l’infermiere? Come se questa professione fosse un ripiego, mentre non lo è”.
Tiepido il commento del Ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, all’annuncio della Giannini di voler modificare i criteri di accesso a Medicina. La Lorenzin si dice pronta a discuterne “con serenità”. Nessun pregiudizio sulla riforma, purché “si ottenga il risultato, cioè di laureare le persone migliori e poterle poi indirizzare verso i percorsi di specializzazione”.
Intanto, anche in Francia serpeggia il malcontento. “Il mondo va in una direzione valorizzando la scelta universitaria già dalla scuola superiore, e noi invece optiamo per il modello francese. Ma in Francia stanno cercando disperatamente di tornare indietro“, le parole del rettore de La Sapienza.
Mi fanno sorridere le categorie dei medici, studenti, professori tutte compatte a criticare la Giannini mentre non si sono mai impegnate a contestare l’attuale sistema.
Il test di ammissione va ripensato per diverse ragioni.
La prima è che non è equo. Sentenze dei tribunali accertano brogli e test venduti a migliaia di euro.
Inoltre, circa il 40% degli ammessi dichiara di aver copiato. Come se non bastasse, il test seleziona solo un certo tipo di forma mentis. Le persone più sensibili e versatili non riescono ad esprimersi al meglio delle loro capacità, in un test a crocette.
Empatia e sensibilità sono alcune delle doti essenziali per svolgere al meglio questa professione. Ovviamente, ci saranno persone che passano il test aventi queste caratteristiche ma il multiple choice fa cadere una scure su certi tipi di intelligenze.
L’altro aspetto della faccenda è credere che aprire il primo anno si traduca in iscrizioni di quasi 100 mila ragazzi. Questo potrebbe accadere in un periodo breve, ma a regime, le iscrizioni caleranno. Nessuno si interroga sul perché siano triplicate le domande di accesso a medicina.
Nel 1998 erano circa 30 mila. Poi, chiuso il corso, l’attrattiva per quella che è una carriera che assicura un posto di lavoro perché protetta dallo sbarramento iniziale, sommandosi ad alcune serie patinate, farcite d’amore ed eroismo, hanno reso sicura e trendy la professione, triplicando le domande di accesso.
Con il sistema francese, solo chi spinto da passione e motivazione sarà disposto a mettere sul piatto della bilancia il rischio di investire un anno del proprio studio per accedere al secondo anno di corso. Questo tipo di modello, sarà di per se’ una forma di deterrente.
A chi sostiene cosa faranno i ragazzi che non passano, non sfiora l’idea che questo problema è già una realtà. Cosa fanno i ragazzi restati fuori dala graduatoria? Molti di loro non riescono ad iscriversi ad altee facoltà, sempre a causa dei test ingresso, e restano in stand by per un anno: il nostro Paese spreca in questo mondo le enrgie ed il potenziale dei suoi giovani!
Il rettore della Sapienza parla di scelte di ripiego qualora si fallisse il primo anno. E’ quello che succede a molti ragazzi che scelgono di iscriversi in Biologia, Chimica, Farmacia ma che in realtà desideravano fequentare medicina. Ricordiamo che tutte le facoltà scientifiche, ormai, prevedono uno sbarrammento all’ingresso. E anche su questo ci si dovrebbe interrogare.
C’è però una considerazione da fare sull’importazione del modello francese tout court.
I ragazzi d’oltralpe hanno programmi di studio più brevi, fatti soprattutto di dispense. In Italia, basta guardare qualsiasi sito accademico per rintracciare programmi di esame e bibliografia, rendendosi conto che in un colpo unico, non si possa chiedere ai ragazzi di essere testati su più di 12 mila pagine di programma.
Quindi? Si riformino i programmi!
Se invece non venissero riformati, non si dovrebbe somministrare un test finale bensì imporre uno standard di qualità: come una media molto alta e un certo numero di esami. Dopo di che, quei crediti per gli esami dati, qualora non si accedesse al secondo anno, renderli spendibili in altre facoltà.
Ho lanche letto che non si può mettere nella mai dei professori questa responsabilità. Questa frase è scioccante. Nelle mani di chi, se non delle Università e loro corpi docenti, dovrebbe essere riposta la responsabilità di formare e selezionare gli studenti più capaci?
Chiudo con una nota personale.
Ho dato il test 3 volte: l’anno scorso l’ho mancato per 5 posti perché il ministro Carrozza ha chiuso le graduatorie con un coup de théâtre inaspettato. Ci sono infatti posti vacanti che non sono stati assegnati.
La mia preparazione è equiparabile a coloro che son passati. Ho già una laurea, sono oggettiva nella mia autovalutazione. E che quando arrivo a sedermi, l’idea di giorcarmi il futuro in 100 minuti, mi fa tremare i polsi.
Ora, io mi sento in prigione perché non ho alcuna chance di autodeterminarmi. Mi sono ammalata nel 2011, e ne sono venuta fuori aggrappandomi all’idea che avrei potuto realizzare la mia vocazione professionale, messa a tacere negli anni, per ragioni troppo personali da speigare. Ora, sto lentamente precipitando nell’angoscia e nella paura. Cosa farò di me? Io continuo a vedermi come medico tra 10 anni. Voglio raggiungerla quella persona che mi aspetta nel futruro. Il mio Paese, impedendomelo mi castra, mi umilia, mi toglie speranza.
Eppure la Costituzione (artt 3 e 4 Cost.) mi ha illusa che autodeterminarmi e scegliere come partecipare alla vita sociale ed economica del mio Paese fosse un mio pieno diritto.
Io credo che sia più giusto il metodo attuale, sotto vari aspetti più o meno soggettivi… ma il motivo che accomuna quasi tutti, soprattutto in questi tempi, sia il dispendio di soldi e sacrifici che si spendono in quell’anno di “anticamera” . . . i soldi preziosi che deve investire una famiglia, libri costosi, trasporti ecc. . . . il desiderio e la convinzione di uno studente matura dentro sé e che può vedersi sbarrata non entro un ora ma nell’arco di un anno.
ps: sul discorso fatiscenza e incapacità gestionale di grandi numeri nelle strutture universitarie, purtroppo è un’altra realtà di cui tenere conto.