A chi non è capitato di provare una paura terrificante alla sola idea di un’interrogazione, sentire i battiti del cuore accelerare, salire l’ansia da interrogazione fino quasi a pensare che prima o poi si sverrà, fare una notte insonne perché si cerca di studiare il più possibile e, dopo aver fatto tutto il necessario per essere preparati, sentire la mente completamente vuota?
Una tabula rasa, ecco come si presenta la nostra mente dopo ore ed ore di intenso impegno. Non sono preparato – ti dici allora – questa interrogazione mi andrà male e prenderò un brutto voto. Questo pensiero prefigura già un epilogo tragico, ma c’è chi arriva a formulare un pensiero ancora più brutto “Lo so,verrò interrogato ed andrà male….così sarò bocciato e perderò l’anno”.
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Riconoscere l’ansia
Se calcoliamo quante volte in media uno studente si ritrova, nella propria vita, a confrontarsi con una prova prestazionale, chi formula questi pensieri vive ogni giorno male e si immagina costantemente un fallimento. Da dove sbuca quella sensazione così intensa e fastidiosa da farci sentire improvvisamente alla stregua di un coniglio in fuga?
I greci, profondi conoscitori dell’animo umano, avevano fatto la sua conoscenza molti secoli fa. Per loro, che erano soliti dare un nome e un volto a tutti i sentimenti che albergano nella mente e nel cuore degli uomini, lui era Pan, il Dio caprino, uno degli esseri più terrificanti che potevano turbare le giornate nell’Olimpo. Volto barbuto, corna sul capo, zampe e coda di un caprone e una intensa e cospicua copertura pelosa, eccolo Pan, in tutto il suo mostruoso aspetto. Veniva descritto nel mito come un essere umorale, scontroso per lo più, con tendenza all’isolamento. Spesso balzava all’improvviso da dietro un cespuglio e atterriva lo sciagurato passante. La sua stessa madre, la ninfa Driope, lo rifiutò, perché ne fu atterrita alla sola vista.
Ed è questa la sensazione che richiama in ognuno di noi, il rifiuto. Chi vive la paura non la accetta, la rifiuta come “altro da sé”. Alcuni ragazzi tuttavia, si arrendono a Pan e lo considerano un’ inseparabile compagnia. Quando non si preoccupano, quasi lo ricercano. Ma per noi Pan è diventata nel tempo la paura, perdendo il connotato maschile originario e diventando femminile, forse per il suo stretto legame con l’ansia.
Restare o fuggire di fronte alla paura?
Il dilemma Amletico diventa allora proprio questo: restare e affrontare le prove o fuggire e salvarsi almeno per quel giorno?
Alcuni studenti escogitano antidoti giornalieri, per esempio escono da scuola prima, si fingono malati, e c’è chi addirittura chi riscopre la fede pregando intensamente di non essere interrogato e creando un proprio rituale, nella speranza che possa allontanare l’evento negativo.
Il circolo vizioso della paura è, in quel caso, attivato in modo da autoalimentarsi. Una delle cose che infatti non viene compresa da chi fugge, è proprio che l’evitamento fortifica la paura. Più evito l’evento che mi fa paura, più sarò portato a continuare ad evitarlo. Non c’è nulla di più sbagliato che evitare l’interrogazione e l’esame, poiché questo mi porterà ad avere a provare una sensazione ancora più forte di paura la volta successiva. Alcuni studenti arrivano fino al punto di non potersi più presentare in classe o, ormai universitari, a non poter più presentarsi per affrontare un esame. Ma la natura del dilemma amletico si gioca tutta nella dinamica esistenziale, nel nostro intimo.
Chi prova paura attua con se stesso un dialogo interno fatto di un susseguirsi di prove a favore e a sfavore dell’evento temuto. Come Amleto la soluzione risiede nella possibilità di accogliere questo spiacevole sentimento e comprendere perché si attiva e cosa vuole dirci o, viceversa, restarne schiavo dell’eterno dubbio.
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Analizzare l’ansia e la paura
Prima di ogni cosa è importante scoprire di cosa si ha tanta paura. Uno studente, a questa domanda, risponderebbe :“di prendere un brutto voto”. Ma non è esattamente così. La paura non è cosi semplice da spiegare e, quasi come a prendersi beffa di noi, ci manda messaggi cifrati più complessi e meno chiari. Un buon esercizio mentale consiste nell’andare a ritroso con il pensiero, fino a trovare il “comune denominatore” del pensiero ansioso.
Se ad esempio la risposta alla domanda precedente è “prendere un brutto voto”, posso domandarmi ancora…..se prendo un brutto voto cosa succede? Una risposta potrebbe essere… “se prendo un brutto voto significa che sono uno stupido”, oppure “se prendo un brutto voto vuol dire che verrò bocciato”. Arrivare all’origine del pensiero ci serve proprio per capire come affrontarlo. Pensare di essere uno stupido non è lo stesso che immaginare una bocciatura.
A volte scoprire il pensiero primario da cui origina la paura può fare anche sorridere, poiché si palesa in tutto il suo estremismo catastrofico.
E’ “solo” paura? L’allerta permanente
Quando si parla di paura, alcuni ragazzi dicono “come faccio a sapere che è solo paura?”. In effetti questo è uno dei problemi più significativi nei soggetti ansiosi. Molti infatti hanno paura non di qualcosa in particolare, ma della paura di avere paura. Un po’ come Titti del famoso cartone animato, temono di vedere sbucare, quando meno se la aspettano, la paura. Capita allora che anche quando non la percepiscono, la cercano, come se non riuscissero proprio ad immaginarsene liberati.
Questo genere di attesa produce uno stato fisiologico di allerta permanente, che si esplica con una serie di componenti sia cognitive – di pensiero – sia comportamentali, sia emotive. Cominciamo quindi con il riuscire a distinguere i pensieri ansiogeni, dettati da paura, da quelli che non lo sono. Per comodità li chiameremo pensieri killer, perché riescono a limitare qualunque possibilità di gestione degli eventi.
Un pensiero killer è un pensiero assoluto, del tipo tutto o niente. Per fare un esempio un ragazzo potrebbe dirsi “non risponderò a nessuna delle domande” oppure “non ricorderò niente”. Il pensiero tutto o niente è anche un pensiero catastrofico e prefigura un fallimento totale. Queste caratteristiche ti potranno consentire di svelare la natura ansiosa del tuo pensiero. Ecco, adesso possiamo dire a noi stessi…è solo l’ansia.
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Ansia da interrogazione: a Scuola di Paura
Come fa un pensiero ad attivare una reazione cosi intensa? Nulla di strano in effetti.
Le reazioni fisiologiche di paura non sono dissimili nei casi in cui c’è un pericolo reale e nei casi in cui è un pensiero a generare l’idea del pericolo.
Di fronte ad un pericolo reale le reazioni più immediate sono la fuga, l’attacco, o la paralisi. In questo senso il nostro modo di reagire alla paura è simile a quello degli animali, istintivo, deputato a salvaguardare la nostra incolumità. Nel nostro corpo, una serie di meccanismi, funzionali a portarci in salvo, si attivano a catena.
Il linguaggio metaforico ci aiuta a comprendere tali meccanismi: mi si rizzano i peli dalla paura, direbbe qualcuno, sento il cuore scoppiarmi in petto, mi sento paralizzato dalla paura.
In effetti accade esattamente questo nel nostro corpo quando si prova paura, il flusso sanguigno aumenta, i pori si dilatano, il battito cardiaco accelera, non perché stiamo per morire, ma per poterci salvare. In casi di pericolo reale di fronte ad una minaccia, un individuo può fuggire ad esempio, correre via da ciò che lo spaventa. In questo caso l’attivazione fisiologica lo aiuterà ad agire.
Nei casi in cui invece la paura è generata da un pensiero, tutto imploderà e si sentirà un grande senso di impotenza. I flussi di pensiero che abbiamo descritto precedentemente, e che sono alla base degli stati d’ansia, agiscono sotto forma di dialogo interno e perpetuano la reazione fisica. La paura quindi è frutto in questi casi, di un processo di distorsione del pensiero.
Di solito le reazioni comportamentali alla paura sono di tre tipi, come già sottolineato: fuga, attacco, paralisi.
Proviamo a tradurre tutto questo e rapportarlo alla vita di uno studente.
- La fuga può corrispondere al comportamento di evitamento, non andare all’interrogazione, saltare la verifica.
- L’attacco può manifestarsi con un comportamento improprio, magari nei confronti del docente, colpevole di aver fatto una domanda inopportuna, proprio quella, per sadismo, si sa.
- La paralisi invece potrebbe corrispondere ad un malessere somatizzato, a volte alcuni ragazzi si sentono quasi mancare e non riescono a stare in piedi o semplicemente avvertono la mente annebbiata, come se all’improvviso non potessero ricordare nulla.
Chi ha paura e diventa ansioso, è di solito una persona che teme di perdere il controllo, di non riuscire a gestire tutti gli aspetti di una certa situazione. Un’interrogazione andata male rappresenta quindi una situazione di perdita di controllo.
Controllare il pericolo
Proprio come un riccio, che di fronte al pericolo attiva tutti gli aculei, anche noi attiviamo una rete di pensieri nel tentativo di controllare il pericolo. Il problema non è tuttavia il meccanismo, ma la natura dei pensieri. Se all’origine della paura c’è una distorsione del pensiero, tuttavia, basterà modificare i pensieri per riuscire a risolvere lo stato d’ansia. I pensieri da attivare non sono quindi quelli ansiogeni, catastrofici, ma positivi, empowered, che generino cioè un senso di auto-efficacia personale.
Un possibile pensiero positivo potrebbe essere ad esempio “ho affrontato altri esami e sono riuscito a superarli”, oppure “ho studiato molto e riuscirò a rispondere alle domande in modo adeguato”, oppure ancora “questa è ansia, la conosco ormai e la cosa che posso fare è bloccare questi pensieri”.
In questo modo eliminiamo almeno un problema, che è quello della reazione fisiologica immediata del nostro organismo. Se abbiamo già una attivazione in corso, e percepiamo ad esempio aumento del battito cardiaco, è importante usare qualche accorgimento per modulare la reazione ansiosa. Respirare di pancia, ci aiuterà. Possiamo quindi provare a gonfiare la pancia come fosse un palloncino e sgonfiarla conseguentemente, inspirando ed espirando. In tal modo stiamo dicendo al nostro corpo “non c’è pericolo, calmati”.
Scopri l’eroe che è in te
Alcuni piccoli accorgimenti per affrontare la paura delle interrogazioni.
- Ognuno di noi possiede molte risorse per poter affrontare le situazioni più complesse. È un meccanismo adattivo che si attiva in automatico se manteniamo la lucidità. Più manteniamo la concentrazione, più facile sarà trovare delle strategie di gestione degli eventi. La paura invece ci rende meno lucidi, confusi, e non ci consente di attivare tutte le nostre strategie di fronteggiamento.
- Se abbiamo studiato e ci capita di avere la fastidiosa sensazione di avere la mente annebbiata, non significa che abbiamo studiato male, tutt’altro. Lo studio eccessivo produce questa sensazione e, semplicemente, la nostra mente si mette in stand by. Chiudiamo i libri allora e facciamo una notte intensa di riposo. Tutte le informazioni studiate torneranno ad esserci disponibili dopo aver riposato.
- Evitiamo beveroni di caffè pre-interrogazione. Il caffè, preso in grande quantità, simula attacchi d’ansia da interrogazione oltre ad assicurarci una bella gastrite. Stessa cosa per il tè, che è un eccitante e come tale ci produce una sensazione di attivazione impropria.
- Controlliamo il pensiero nei giorni precedenti all’interrogazione, trovando pensieri realisti ed ottimisti che possano contrapporsi a quelli ansiosi. Un piccolo accorgimento: non producete pensieri positivi opposti a quelli negativi. L’interrogazione andrà malissimo, ad esempio, no va sostituita con l’interrogazione andrà benissimo. Meglio piuttosto un pensiero alternativo, che vi faccia uscire dal loop in cui vi siete incastrati.
- Cercate di aumentare il vostro senso di auto-efficacia. L’auto-efficacia si impara e si può potenziare. Uno psicologo potrà aiutarvi nel fortificare questa componente.
- Godete dei successi. Quando riuscite a fare una buona interrogazione assaporate questa sensazione e portatela con voi. Riportatela alla memoria tutte le volte che dovete affrontare una nuova prova. Sarà la testimonianza che potete farcela.
La paura: fatevi una nuova amica
In conclusione, la paura non è altro da noi, non è estranea. Essa è piuttosto una nostra alleata, che ci avverte che qualcosa non va, che stiamo affrontando in modo sbagliato una situazione.
Invece di cercare di zittirla, ascoltiamola e accogliamola come un sentimento legittimo. Giochiamo un po’ con lei e torneremo ad avere, di ciò che ci spaventa, una visione normalizzata.
Il docente che tanto temiamo, non sembrerà il nemico più grande, ma solo una persona che ci aiuta a capire se abbiamo lacune didattiche e come compensarle.
L’esame, l’interrogazione, non saranno più viste come ghigliottine che possono decretare la fine di tutto, ma come momenti di verifica, che non dobbiamo temere, ma affrontare con serenità. Un ultimo consiglio, la paura rende il tempo eternamente sospeso.
Chi teme l’interrogazione vive in sospensione come se dovesse precipitare all’improvviso. Come un equilibrista, l’importante è muoversi, continuare ad affrontare la preparazione giorno per giorno e rimandare la sensazione di ansia da interrogazione al momento della prova.
“Non è questo il momento di preoccuparsi….adesso studio” potrete dirvi.
Vedrete che il giorno della prova l’ansia sarà minore, poiché non avrete passato tutto il tempo ad accumularla.