Infermieri e personale sanitario: professioni a rischio stress lavoro-correlato

Quando si parla di professioni sanitarie e, in particolare, della professione di infermiere in strutture sanitarie, spesso viene posto l’accento sull’aspetto umanitario che il professionista deve avere nei confronti del paziente; tuttavia, raramente si parla della condizione di stress a cui vanno incontro gli infermieri, nonché dell’influenza che questo può avere nella vita di determinate figure professionali anche al di là dell’orario lavorativo.

Secondo la definizione riportata all’articolo 3 dell’Accordo Europeo dell’8 ottobre 2004, lo stress lavoro-correlato consiste in una “condizione che può essere accompagnata da disturbi o disfunzioni di natura fisica, psicologica o sociale ed è conseguenza del fatto che taluni individui non si sentono in grado di corrispondere alle richieste o aspettative riposte in loro”.

Numerosi sono i fattori che mettono a rischio l’equilibrio psico-fisico del personale sanitario nel corso della propria carriera professionale: lo scarso ricambio generazionale, le gratifiche economiche non sempre puntuali, l’aumento delle responsabilità, l’accumulo delle ore da recuperare e di ferie non godute nei tempi previsti a causa delle c.d. “esigenze di servizio”; a tutto questo, va aggiunto il fatto di essere turnisti, con il suddetto aumento di responsabilità in caso di assenza del medico di guardia durante le ore notturne.

Un noto blog di informazione infermieristica, a seguito di studi effettuati, riporta la notizia che durante la notte vi è un sovraccarico lavorativo, in quanto i pazienti nelle ore buie vedono acuirsi lo stato di ansia e preoccupazione dovuti allo stato di salute e chiedono continuamente interventi assistenziali: su un campione di 115 pazienti, ricoverati in quattro diversi reparti dell’Azienda ospedaliera-universitaria di Udine, controllati per dodici notti consecutive, è emerso che ciascun malato ha chiamato gli infermieri quattro volte, con un’incidenza del 42,4% tra le 21 e le 23, e che solo per il 3,1% dei casi era effettivamente necessario l’intervento del medico di guardia.

Il possibile risultato di questa condizione potrebbe tradursi nel rischio concreto di mancata assistenza al malato e poi di maggiori infortuni nella categoria ( in media gli infortuni che riguardano i lavoratori del settore sanitario sono maggiori del 30% rispetto ad altre categorie lavorative).

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