Donne e facoltà scientifiche

Le facoltà di scienze, tecnologia, ingegneria e matematica sono settori dove le donne sono ancora poche, ma la “selezione” parte molto prima. In Italia le ragazze compaiono di rado sulle liste delle Olimpiadi di Matematica e Fisica. E registrano punteggi inferiori ai maschi nella parte del test Ocse-Pisa che misura la capacità di “pensare come uno scienziato”: battute dai coetanei con 24 punti di distacco, contro una media Ocse di 16. Secondo i numeri reperibili sul sito del Ministero dell’Istruzione, nel periodo 2013 e 2014 le matricole rosa hanno raggiunto quota 79% negli atenei di tipo umanistico. Mentre l’indirizzo scientifico ha conquistato solo il 38% di ragazze, a fronte del 62% di uomini. Certo, c’è stato un rialzo rispetto all’anno accademico 2003 e 2004, ma la percentuale va letta nel dettaglio.

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Facoltà disertate

“È necessario fare una distinzione tra le discipline scientifiche che si occupano della cura della vita, per esempio ingegneria biomedica o medicina, dove la presenza femminile è spesso massiccia e le scienze cosiddette hard, come informatica, ingegneria meccanica e così via”, spiega la fisica Patrizia Colella che segue tematiche relative alla formazione per l’Associazione Donne e Scienza. Qui non si registrano evoluzioni a breve termine. “La percentuale è ferma da 15 anni: 30% a fisica, 18% a ingegneria, 15% ad informatica – Prosegue Colella – Le ragioni sono diverse. Ma le ragazze che vogliono prepararsi a questo tipo di carriera hanno ogni cosa contro. Prima di tutto, è una questione di orientamento. Da una parte si tratta di un circolo vizioso: il fatto che ci siano poche donne in questi settori inibisce le nuove reclute a intraprendere percorsi del genere. Dall’altra, spesso la tecnologia non è presentata con caratteristiche che le possono interessare”. Per non parlare degli stereotipi culturali, radicati nel contesto sociale.

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“Si tratta di preconcetti impliciti che non sono cambiati negli ultimi anni e di cui ormai non ci rendiamo conto”. Eppure esistono. E i risultati si vedono. “Le ragazze crescono sentendosi dire: Lascia stare, è difficile”, accusa Chiara Burberi, co-fondatrice di Redooc, piattaforma online per l’insegnamento di materie scientifiche dedicata ai liceali. “C’è ancora un gap culturale da colmare in questa fase”, ammette Donatella Sciuto, prorettore del Politecnico di Milano, dove il trend delle iscritte in area ingegneria è in leggero aumento (+ 1,4% rispetto al 2010/2011). Ma ancora basso (22,3%). “Lo notiamo soprattutto nel settore informatico, le giovani leve pensano che sia una cosa da geek, o da maschi, e di conseguenza non si iscrivono”.

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Bassa autostima

Un’Altra frontiera , altra battaglia è la fiducia in se stesse. Sembra, infatti, che le donne siano portate a sottovalutarsi. Lo provano diversi studi scientifici. Giusto per citarne uno: nel 2011, l’Institute of leadership and management del Regno Unito, ha condotto un sondaggio tra i dirigenti britannici per misurare il loro grado di stima in se stessi. Ha dichiarato di avere poca fiducia nelle proprie prospettive professionali la metà delle femmine, gli uomini sono stati meno di un terzo. Aggiunge Francesca Borgonovi, economista dell’Ocse-Pisa e consulente del ministero dell’Istruzione: “Durante i test, abbiamo evidenziato che le ragazze manifestano sentimenti d’ansia. Sono meno sicure di riuscire a risolvere i problemi matematici e scientifici. E hanno una percezione negativa di loro stesse come persone in grado di capire queste discipline”. Una sensazione che si ripercuote sugli esiti perché, continua Borgonovi, “chi ha fiducia in sé può imparare più facilmente dagli errori. Invece gli insicuri tendono a interpretarli come un segno d’inadeguatezza”.

Il soffitto di cristallo

Una volta completato un percorso di studi tecnico-scientifico e trovato un impiego, le donne finiscono comunque per andare a sbattere contro il cosiddetto soffitto di cristallo. Un risultato diretto della maggiore presenza di uomini in commissioni giudicanti, rettorati e in tutte quelle leve che danno accesso alla carriera dei ricercatori”, dice Sveva Avveduto dell’Irpps-Cnr. Così si arriva allo zoccolo duro del problema. Anche quando la scienza è rosa, persino quando le donne sono in maggioranza e fanno ricerca, non raggiungono mai i vertici. Basta guardare i numeri. Come si legge nel volume curato dalla stessa Avveduto con Lucio Pisacane, “Portrait of a Lady” (edizioni Gangemi, euro 20), nel comparto pubblico c’è ben il 48% di ricercatrici al grado iniziale di carriera. Ma la percentuale scende al 39% nel ruolo di primi ricercatori. E al 24% tra i dirigenti di ricerca. Lo stesso vale per i tecnologi: 44% di donne al grado iniziale; 34,6% dei primi tecnologi; 22% dei dirigenti tecnici. Non solo. Tra i direttori di Istituti di ricerca e di dipartimento, solo il 17% è rosa.

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Fonte: laRepubblica dell’11 giugno – a cura di ROSITA RIJTANO