Le motivazioni che portano gli studenti a scegliere un corso universitario, tra i tanti proposti dalle università italiane sono molteplici: c’è chi ascolta i consigli degli insegnanti del liceo, chi sceglie in base alle proprie attitudini, chi viene indirizzato dai genitori o chi ha già in mente una possibile professione futura, e qualcuno va all’università per inerzia o perché ci vanno gli amici. Tutti però, al momento dell’immatricolazione, ritengono che al termine degli studi avranno migliori opportunità professionali rispetto a chi non prosegue gli studi. Tutti concordano sul fatto che uno dei primi obiettivi dell’università è quello di garantire una formazione di qualità, offrendo ai laureati gli strumenti per affrontare il lavoro. Naturalmente l’università non può garantire a tutti carriere da amministratori delegati e spesso i neolaureati si devono adattare a lavori e retribuzioni non all’altezza del titolo conseguito o delle proprie capacità. Tuttavia la laurea resta uno strumento fondamentale per fare carriera e migliorare la propria posizione lavorativa.
I dati sulle immatricolazioni, come riporta l’ISTAT (che ha pubblicato questi dati nei volumi “L’Italia in cifre 2005” e nell’ “Annuario statistico italiano 2006”), registrano a partire dal 2004/2005, sensibili incrementi delle nuove iscrizioni ai corsi di laurea specialistica a ciclo unico (+ 3% rispetto all’anno accademico precedente). Si tratta di corsi del nuovo ordinamento che prevedono un unico percorso formativo di cinque o sei anni e che afferiscono ai gruppi disciplinari chimico- farmaceutico, medico, architettura e ingegneria.
E’, come presumibile, il settore medico a registrare il maggior numero di iscrizioni (26,2 per cento), seguito dal settore chimico- farmaceutico (16,8 per cento), architettura (11,2 per cento) e ingegneria (10,4 per cento). L’analisi delle più recenti rilevazioni (2010) del consorzio interuniversitario Almalaurea conferma, nel complesso, i dati precedentemente elaborati dall’Istituto Nazionale di Statistica.
In base all’indagine di Almalaurea, i futuri medici appaiono come la categoria maggiormente garantita dal rischio disoccupazione con un tasso di occupazione del 91,5% (ed i numeri lasciano pronosticare una prossima, possibile, penuria di personale medico, come già descritto in un articolo precedente); il titolo trova, peraltro, ampio spazio nel settore pubblico con il 74% di camici bianchi riparati sotto la rassicurante cortina del SSN dall’invasione, nel settore privato, dei contratti di lavoro atipici che, come si vedrà, costituiscono ormai la norma per quasi tutte le altre carriere. Naturale conseguenza è un grado di soddisfazione percepita dalla popolazione dei neo-laureati partecipanti all’indagine di gran lunga superiore alle medie degli altri percorsi formativi/professionali (l’83% circa degli intervistati si dichiara “molto soddisfatto”).
Ai medici fanno seguito , seppur con numeri decisamente diversi, gli architetti con un tasso di occupazione pari al 77%; tali forze lavoro trovano però, diversamente da quanto avviene nel caso dei medici, un impiego nettamente superiore ( 95%) nel settore privato ove si assiste ad un consistente ricorso (35%) a formule contrattuali atipiche. Coerentemente con i dati descritti, il grado di soddisfazione rispetto alla propria collocazione appare sensibilmente ridotto, praticamente dimezzato (il 45% del campione che si colloca tra l’abbastanza e il molto soddisfatto).
Al terzo posto della classifica si collocano i medici veterinari, con un tasso di occupazione intorno al 70%, prevalentemente nel settore privato (85%) con rapporti di lavoro che, in questo caso, tendono alla stabilità (60% di contratti stabili contro un 20% di contratti atipici); il 42% del campione intervistato si dichiara “molto soddisfatto”.
Ingegneri e laureati in economia presentano, in linea di massima, gli stessi numeri, ovvero, un tasso di occupazione intorno al 50%, impiego prevalentemente nel settore privato ( 90%), con una considerevole presenza di contratti atipici (intorno al 45%) ed un discreto grado di soddisfazione.
Si potrebbe commentare, sulla scorta dei dati appena esaminati, che impegnarsi nell’intraprendere una carriera di studio in una delle aree prese in analisi, comporta, senza dubbio, una dose consistente di fatica, impegno e perseveranza che però, in misura tutto sommato sufficiente, viene compensata da risultati soddisfacenti dal punto di vista degli sbocchi occupazionali.