Se scorri in maniera anche sommaria le tappe della sua biografia, non puoi fare a meno di provare quel senso di ammirato stupore che nasce dalla consapevolezza di trovarsi di fronte a una figura davvero straordinaria. Una straordinaria figura di uomo e di professionista dell’insegnamento, che è riuscita a cambiare la condizione di moltissime persone donando loro quello che resta lo strumento fondamentale per la crescita psicologica, culturale e civile di ogni individuo: l’istruzione.
Prima laureato in biologia e poi in pedagogia, Alberto Manzi è stato scrittore e autore per trasmissioni alla radio e alla tv, educatore nelle scuole, sindaco di Pitigliano, ha scritto testi scolastici e fiabe, e ha insegnato anche ai ragazzi del carcere e agli Indios della foresta amazzonica. Sempre senza scendere a compromessi, sempre con l’intento di divulgare forme dirette di apprendimento.
Quello di Manzi, in realtà, è stato un vero e proprio compito di vita che tutti i professori dovrebbero assumersi per dirsi davvero tali. Perché alfabetizzare gli altri significa dotarli di quel senso critico necessario ad affrontare ogni giorno la vita, prima ancora che a fare di conto o a sapersi orientare grazie ai segni della propria lingua.
“Il Maestro”: così lo chiamavano i suoi studenti e quasi un milione e mezzo di italiani che hanno imparato a leggere e a scrivere grazie alle sue lezioni televisive. Ancora oggi la vecchia generazione lo ricorda come l’artefice di una battaglia epocale e rivoluzionaria: sottrarre al giogo dell’ignoranza quella fetta di popolazione italiana che non aveva potuto studiare a causa dell’infimo ceto sociale a cui apparteneva.
E liberarsi dall’ignoranza vuol dire imparare a muoversi nel mondo con le proprie gambe e con la propria testa, riuscendo a schivare ogni forma di condizionamento o di sottomissione. Soprattutto quelle sociali e politiche. Liberarsi dall’ignoranza vuol dire saper scegliere con la propria testa ciò che è giusto e ciò che è sbagliato.
Ecco, per Manzi la grandezza di un insegnante si misura sulla sua capacità di aiutare i suoi studenti a diventare liberamente quello che vogliono essere.
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Cosa vuol dire essere un maestro? Insegnare a pensare
Più sensibile all’aspetto singolare e umano di ogni suo allievo che ai protocolli istituzionali di insegnamento, Alberto Manzi ha mantenuto dall’inizio della sua professione di insegnante fino agli ultimi giorni di vita la coerenza del vero uomo di cultura. Ogni sua parola e ogni sua azione erano mosse da un solo, libertario e libero principio: la scuola non deve trasmettere pensieri, la scuola deve insegnare a pensare.
Il vero insegnante, quindi, è solo colui che sa fornire ai propri allievi gli strumenti per ragionare, insieme alla capacità di riflettere e di discutere sulle cose. A guardarlo bene, Manzi ha accolto innanzitutto lo spirito del filosofo, colui che non si ferma alle nozioni, alle idee belle e pronte, ma mette in discussione ogni cosa per provare a raggiungere la verità.
E secondo questo spirito ha promosso sempre la sua idea di insegnante, di chi cioè deve mettere sul piedistallo innanzitutto la crescita intellettiva ed intellettuale dei ragazzi, promuovendone con metodo e giocosità lo sviluppo cognitivo.
L’alunno innanzitutto. La differenza tra insegnare ed educare
Chi deve stare dunque al centro della didattica, anche della tua didattica? Gli allievi. E secondo Manzi puoi riuscire in questo compito se li educhi con metodo scientifico ma anche con creatività e con l’abilità di sovvertire le prospettive, di mettere in discussione certe regole.
Per poter sviluppare davvero lo spirito critico nei tuoi studenti bisogna essere rigorosi, non lasciare nulla al caso. D’altronde il pensiero deve esercitarsi e può farlo solo attraverso l’ordine, le norme logiche, la verifica diretta, l’esperienza in prima persona. Ma devi sapergli accostare anche il gusto della scoperta, l’entusiasmo della curiosità e il sovvertimento dei luoghi comuni.
Solo così educhi i tuoi ragazzi a pensare. Il nozionismo è sterile, è solo una inerte raccolta di dati che in qualche caso servono, ma quando la memoria li avrà dimenticati resterà la capacità di ragionare. Ed è questa l’educazione. Sei un vero insegnante se sai guidare i tuoi ragazzi standogli al fianco, ma lasciandoli nello stesso tempo liberi di uscire fuori strada per scoprire da soli cosa c’è al di là del selciato.
Alberto Manzi racconta un bellissimo aneddoto che può darti pienamente la misura di cosa per lui significasse promuovere l’educazione dei propri alunni.
Fra le varie materie che insegnava in una quinta elementare c’era ovviamente anche la storia. Quando arrivò il momento della lezione sui campi di concentramento nazisti, Alberto Manzi non aprì il libro e decise di portare i suoi ragazzi a Dachau. La storia dei libri, diceva, non ha senso per dei bambini di quinta elementare. Per loro ha senso lo sguardo, ciò che riescono a percepire del mondo stando nel mondo. E quando li vide commossi dai luoghi che stavano visitando, alla domanda “Maestro, perché ci hai portato qui?”, lui rispose “Perché questa è la storia. Ricordatevelo. Io non vi devo dire niente. Andiamo avanti”.
Questo è l’insegnamento che diviene educazione. Conduci i tuoi ragazzi dove hanno da imparare e aiutali a capire. Senza troppe nozioni, senza impartire teorie. Lasciali liberi di guardare e ascoltare e di porre domande. Solo così metti in moto la loro testa.
Ma i voti servono davvero?
Alberto Manzi è anche colui che, fiero del suo metodo pedagogico, si è sempre rifiutato di “schedare” l’apprendimento dei suoi allievi nelle vuote formule del voto e del giudizio. E questo perché secondo lui un alunno continua a formarsi anno dopo anno. Dargli un voto e classificarlo in un’opinione transitoria vuol dire bollarlo in una definizione una tantum, e abituarlo alla menzogna, alla falsità.
Per queste sue convinzioni il Maestro fu anche sospeso dalla sua attività di docente dal Provveditorato di Roma, che lo lasciò quattro mesi senza stipendio, e si arrivò addirittura ad una interrogazione parlamentare dopo la protesta di alcuni genitori.
Stimolare continuamente i ragazzi a pensare, a riflettere, a sperimentare, anche a costo di trovarsi contro le istituzioni. La grandezza pedagogica di Manzi sta tutta qui e ha dato personalmente l’esempio di ciò che significa avere senso critico, non sottraendosi mai nemmeno alle ripercussioni a cui è andato incontro.
Eccola la vera sfida di un insegnante: suggerire problemi ai propri alunni, incitarli a creare, a porsi domande, dando risposte positive anche quando i tentativi fatti dai ragazzi sono illogici o sbagliati. Perché innanzitutto bisogna infondere loro la capacità di meravigliarsi, di non smettere mai di scoprire e di evolversi culturalmente, tenendo bene in mente il rispetto per gli altri e il principio di uguaglianza che li tiene lontani da ogni forma di razzismo e di chiusura mentale.
Per approfondire: la scuola non serve a niente, ma è proprio vero?
Non è mai troppo tardi
Era il 1960, l’Italia contava allora quasi cinque milioni e mezzo di analfabeti per lo più concentrati nel sud e nelle isole. Un dato allarmante che convinse l’allora governo a mettere in moto la macchina dell’alfabetizzazione istituendo corsi per adulti, e inviando insegnanti nelle zone più isolate del paese, ottenendo anche buoni risultati.
Ma la svolta si ebbe con quello che oggi può essere senza dubbio considerato un esempio efficacissimo di e-learning ante litteram: una trasmissione televisiva che portò direttamente nelle case degli italiani le lezioni del maestro Manzi.
Il successo fu straordinario e inaspettato. Più di un milione e mezzo di italiani seguirono negli anni della sua messa in onda la trasmissione Non è mai troppo tardi, riuscendo ad istruirsi e ad ottenere gli strumenti indispensabili per la propria evoluzione intellettuale.
Quella trasmissione, se ci pensi, resta un monito per ogni docente appassionato del proprio lavoro e uno stimolo a non fermarsi dinanzi a nessuna difficoltà didattica. Perché è vero che non è mai troppo tardi per imparare ed è vero che non è mai troppo tardi per insegnare agli altri a migliorarsi.
Alberto manzi: qual è il tuo compito di insegnante?
Compito di un professore, compito della nostra scuola dovrebbe essere proprio questo: dotare degli strumenti critici chi ne ha bisogno, assecondando le attitudini e i tempi di apprendimento di ognuno. Quindi, stimola, provoca, motiva e coinvolgi i tuoi studenti. Da’ loro le nozioni necessarie, ma poi attiva la loro creatività intellettuale attraverso la scoperta e il pensiero critico.
Alberto Manzi ha saputo trasferire nell’insegnamento e nella sua metodologia didattica il motto di una delle maggiori figure dell’etica pragmatica e dello spirito illuministico americani, Benjamin Franklin. Che ebbe a dire una volta: “Se mi dici una cosa, la dimenticherò. Se me la mostri, potrei ricordarmela. Se mi coinvolgi, la capirò”.
Tu riesci a trasferire questo motto nella tua vita con gli studenti? Anche tu sei convinto che essere un buon insegnante significhi educare a pensare, prima ancora che trasferire conoscenza? Dimmi la tua nei commenti e raccontami la tua esperienza di professore.[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]