Nasceva quasi 25 anni fa l’idea del Governo di favorire un progetto di congiunta cooperazione fra i ministeri della Sanità e dell’Università, attraverso le indicazioni del decreto legislativo n. 502 del 30 dicembre 1992. Lo scopo era quello di avviare una uniforme e adeguata rete formativa mista ospedaliero-universitaria sulla base di specifici protocolli d’intesa fra Regioni e Università e collegati ad accordi attuativi locali fra le Aziende sanitarie e le Università dei rispettivi territori.
Dai diplomi di laurea alla Laurea triennale
Come si ricorderà, la regolamentazione dei profili all’inizio ebbe qualche intoppo tanto che ci volle una storica manifestazione a Roma il 1° luglio 1994, promossa dai Sindacati confederali e dalle Federazioni e Associazioni delle varie professioni per sbloccare l’emanazione dei relativi decreti.
Questi portano la data del 14 e 26 settembre 1994 per i primi 13 profili, fra cui Infermiere, Ostetrica, Fisioterapista, Logopedista, Tecnici laboratorio e Radiologia ecc., cui fecero seguito nel 1995 quello di Tecnico di neurofisiopatologia e dal 1997 al 1998 altri otto fra cui Tecnico della prevenzione, Assistente sanitario ed Educatore professionale.
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A seguire, nel 1996 con decreto interministeriale Università Sanità del 24 luglio 1997 vengono istituiti per i primi 14 profili i rispettivi corsi di diploma universitario a durata triennale sul modello europeo della formazione per Infermiere e Ostetrica. Ma a distanza di soli tre anni, nel 1999 – con decreto n. 509 del 3 novembre 1999 – il ministero dell’Università sancì la trasformazione dei diplomi universitari in laurea, aprendo le porte all’attuale assetto formativo che partì nell’a.a. 2001-02 con le lauree per tutti i 22 profili.
Oggi, a distanza di 20 anni il bilancio può considerarsi positivo, anche se non mancano zone grigie specie nella mancata omogenea applicazione dei Protocolli d’intesa Regioni- Università e nella disomogeneità della ripartizione geografica dell’offerta formativa da parte delle Università.
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Tutto questo mentre è in corso un intenso e serrato dibattito sulla revisione delle “competenze specialistiche” in base alla Legge di stabilità 190/2014 e al noto comma 566 che dovrebbe portare a un progetto condiviso con i Medici sulle competenze specialistiche avanzate delle professioni sanitarie, nel rispetto della legge 42/1999. Competenze che la normativa sulla formazione universitaria riconosce con la legge 43/2006 all’articolo 6, che prevede i master specialistici. Opzione che resta tuttora in una zona d’ombra perché non ancora adeguatamente regolamentata come la laurea triennale di primo livello e la laurea specialistica/magistrale biennale di secondo livello.
Proprio su questi obiettivi si è fermato a dicembre 2003 il lavoro avviato dall’ultimo Osservatorio del Miur di cui è imminente la riattivazione. L’obiettivo è di pervenire a un adeguato riordino della selva, numerosa e disomogenea, di master presenti a livello nazionale. Master nati su iniziativa autonoma delle singole Università, senza peraltro la necessaria validazione da parte del ministero della Salute e delle Regioni che temono una ulteriore eccessiva frammentazione fra le professioni sanitarie.
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Non mancano certo i detrattori rispetto all’eccessivo numero dei 22 profili attuali che, secondo alcuni, sono troppi e talora sovrapponibili specie nella suddivisione per fasce di età, adulta e pediatrica, oppure per disciplina come in Audiologia e nell’area della Riabilitazione.
Fonte: ilsole24ore Sanità – maggio 2015 – a cura di Angelo Mastrillo