A poco più di un mese dalla deadline indicata dalla ministra Stefania Giannini in cui sarà presentata la possibile riforma che investirà il test di ammissione a Medicina, proviamo a fare il punto della situazione traendo spunto dal documento stilato dai presidi di tutte le Facoltà di Medicina d’Italia, da cui emerge un dato incontrovertibile: nell’interesse degli stessi studenti, il numero chiuso a Medicina non si tocca, ma la prova d’accesso, così com’è ora, va necessariamente migliorata.
I presidi dicono “no” al cosiddetto “modello francese” – ingresso libero al primo anno di Medina, ma con prova selettiva al termine dello stesso – per gli stessi motivi evidenziati dagli addetti ai lavori in questi giorni: le attuali strutture didattiche (aule e laboratori) degli atenei italiani non sono pronti a sostenere l’ingresso di tanti studenti, senza contare che mancano i professori.
Secondo la Conferenza dei Presidi, a essere in discussione non è il numero programmato a Medicina in sè, irrinunciabile per due motivi fondamentali: da un lato, i legacci derivanti dalle normative Ue, dall’altro, l’efficacia dell’accesso programmato, che produce «un’alta percentuale di laureati (quasi prossima al 90%) gran parte dei quali nei tempi previsti dai piani di studio; la bassissima percentuale di ritardi ed abbandoni nei primi anni di corso; l’alta positiva percentuale di “placement” post-laurea».
Il problema vero è l’intero sistema di reclutamento che, a detta dei presidi, va rivisto. In che modo? Attraverso un “processo di selezione” articolato in tre step: anzitutto l’orientamento nelle scuole, negli ultimi due anni delle superiori, che dovrebbe culminare con un test psico-attitudinale per consentire ai ragazzi di valutarsi da soli; la valutazione del percorso scolastico, ma con parametri diversi da quelli sfornati l’anno scorso; infine, un test, un “multiple choice test”, strutturato però per ottenere un vero “processo di selezione” specifico per il corso di laurea in Medicina e Chirurgia.
In altre parole, quello che i Presidi chiedono a chiare lettere ai vertici del Miur è di realizzare un modello di selezione, ipoteticamente anche “alla francese”, ma che tenga conto del sistema formativo attualmente operante in Italia, «già ben allineato e integrato con la comunità scientifica e pedagogica internazionale», e che non produca danni a quanto realizzato sino ad ora “con un lungo, ultra ventennale lavoro riformatore, per la modernizzazione del processo formativo nell’area medica”.
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