In questa rubrica pubblicheremo piccole curiosità e ritagli di informazioni tecniche sui tanti corsi di laurea esistenti nel panorama universitario italiano, che vi serviranno per valutare il vostro interesse a frequentare un corso piuttosto che un altro.
Tra le varie notizie, troverete spunti sui requisiti di ammissioni, sbocchi occupazionali, albi professionali e tanto altro ancora.
Questa volta è il turno delle 22 Professioni sanitarie. Cominciamo con Infermieristica, Infermieristica pediatrica e Ostetricia.
Le professioni sanitarie
In ambito sanitario è importante che tutte le figure professionali si integrino e lavorino tra loro in sinergia affinché ogni utente-paziente possa ricevere il miglior servizio possibile di cura, prevenzione, riabilitazione e diagnosi.
Indipendentemente dal fatto che si tratti di soggetti giovani o anziani, portatori di handicap o meno, sani o malati, lavorare a contatto con le persone è sempre stimolante e soddisfacente.
Molti giovani decidono, dopo aver conseguito il diploma, di partecipare ai test di ammissione ai corsi di laurea delle Professioni sanitarie, le cui prove finali hanno valore abilitante alle rispettive professioni.
Le ventidue Professioni sanitarie si dividono in quattro classi di lauree:
1) L/SNT1 – Professioni sanitarie infermieristiche e professione sanitaria ostetrica/o, abilitante alle professioni di infermiere, infermiere pediatrico e ostetrica/o.
2) L/SNT2 – Professioni sanitarie della riabilitazione, abilitante alle professioni di fisioterapista, logopedista, educatore professionale, tecnico della riabilitazione psichiatrica, terapista della neuro e psicomotricità dell’età evolutiva, terapista occupazionale, podologo, ortottista ed assistente oftalmologica.
3) L/SNT3 – Professioni sanitarie tecniche, abilitante alle professioni di dietista, igienista dentale, tecnico di laboratorio biomedico, tecnico di neurofisiopatologia, tecnico della fisiopatologia cardiocircolatoria e della perfusione cardiovascolare, tecnico audiometrista, tecnico audioprotesista, tecnico ortopedico, tecnico di radiologia medica, per immagini e radioterapia.
4) L/SNT4 – Professioni sanitarie della prevenzione, abilitante alle professioni di assistente sanitario e tecnico della prevenzione nell’ambiente e nei luoghi di lavoro.
In questo articolo troverete una serie di notizie sui possibili sbocchi occupazionali e le diverse professionalità a cui i corsi delle Professioni sanitarie preparano. Tuttavia, prima di scendere nello specifico, riassumiamo brevemente alcune notizie utili.
I corsi delle 22 Professioni sanitarie afferenti alle quattro classi di lauree sono percorsi triennali ai quali si accede in seguito al conseguimento del diploma di scuola secondaria di secondo grado. L’ammissione ai corsi è a numero programmato a livello nazionale e la prova è uguale per tutti i corsi di laurea. I test sono articolati su cinque quesiti a risposta multipla sui temi della cultura generale e logica, biologia, chimica, fisica e matematica.
Durante il percorso formativo il raggiungimento delle capacità professionali si attua attraverso una formazione teorica e pratica che include anche l’acquisizione di competenze comportamentali, conseguite nel contesto lavorativo specifico di ogni profilo, per garantire, al termine del percorso, la piena padronanza di tutte le necessarie competenze e la loro immediata spendibilità nell’ambiente di lavoro.
Particolare rilievo, come parte integrante e qualificante della formazione professionale, riveste l’attività formativa pratica e di tirocinio clinico, svolta con la supervisione e la guida di tutor professionali appositamente assegnati, coordinata dai docenti.
Analizziamo ora i diversi profili professionali e i relativi sbocchi occupazionali.
Per ciò che concerne la classe di laurea L/SNT1 – Professioni sanitarie infermieristiche e professione sanitaria ostetrica/o, i profili professionali ed i relativi sbocchi occupazionali sono rappresentanti da:
– Infermiere
– Infermiere pediatrico
– Ostetrica/o
In tutte le culture, la donna è sempre stata la figura deputata ad accudire le persone sofferenti. “Il prendersi cura” è stato da sempre un compito assolto, quasi esclusivamente, dalla donna che, sin dall’era preistorica, utilizzava erbe medicinali per aiutare l’organismo a superare le problematiche di salute, alimentazione, crescita e supporto psico-fisico.
Nei secoli successivi, il potere che acquisiva la donna-curante fece sì che esse fossero ingiustamente accusate di stregoneria ed i segreti delle cure passarono ai medici, rigorosamente uomini. La donna, quindi, continuò la sua opera di accudimento, ma senza capacità decisionale, solo come carità, esercitata dalle dame, nobildonne, suore, ecc.
Nel XIX secolo, grazie a Florence Nightingale e alla sua solida cultura scientifica e umanistica, venne riconosciuto il ruolo fondamentale dell’igiene nella cura del malato e la gestione di tutti i bisogni di salute della persona. Le infermiere anglo-sassoni elaborarono le teorie infermieristiche che hanno rivoluzionato l’approccio all’assistenza infermieristica arricchendolo di un corpo di conoscenze tali da determinare l’approdo formativo alle università.
Il 12 maggio, giorno in cui si ricorda la nascita di Florence Nightingale, considerata la fondatrice dell’Infermieristica moderna, si celebra in tutto il mondo la Giornata Internazionale dell’Infermiere. La “Giornata” ha ogni anno un titolo ispirato a tematiche di rilevanza infermieristica ed è deciso in seno all’International Council of Nurses che ha sede a Ginevra.
Dal 1976, per diventare infermiere, allora denominato “infermiere generico o infermiere professionale”, era sufficiente frequentare un corso professionale rispettivamente di uno o tre anni, con programma didattico riconosciuto dall’Unione Europea, al quale si poteva accedere con il titolo di scuola media superiore (per il corso infermiere professionale). Per il corso di infermiere generico, invece, era necessario aver completato la scuola dell’obbligo e possedere il diploma di terza media.
Nel 1990 venne istituito il diploma universitario di primo livello in “Scienze infermieristiche” e solo nel 1992 viene sancito il definitivo passaggio alla formazione universitaria. Diventa, quindi, requisito obbligatorio il diploma di scuola secondaria superiore di secondo grado, e il titolo rilasciato al termine del corso è un diploma universitario.
L’Infermiere
L’Infermiere è il professionista sanitario responsabile dell’assistenza generale infermieristica che consiste di attività in natura preventiva, curativa, palliativa e riabilitativa. Tale assistenza si svolge mediante l’impiego competente di conoscenze, abilità tecniche, relazionali ed educative, abilità cognitive complesse. L’assistenza infermieristica è rivolta a persone di tutte le età, famiglie, gruppi e comunità, malati o sani in ogni contesto di vita. Le principali responsabilità dell’infermiere sono:
- promozione della salute;
- prevenzione della malattia;
- assistenza e cura delle persone e delle loro famiglie;
- sollievo della sofferenza dei malati e delle loro famiglie;
- assistenza e riabilitazione dei malati cronici e dei disabili.
Gli infermieri garantiscono la corretta applicazione delle prescrizioni diagnostico–terapeutiche ed agiscono sia individualmente che in collaborazione con gli altri professionisti sanitari e sociali avvalendosi, ove necessario, di personale di supporto.
L’infermiere laureato esercita l’attività alle dipendenze di aziende sanitarie, ospedaliere, residenze sanitarie, istituti di ricovero, altre strutture pubbliche e private e/o in regime libero professionale come singolo e/o associato.
Trova occupazione in Italia, nell’ambito dell’Unione Europea e in tutti i Paesi del mondo in cui è riconosciuta l’equipollenza del titolo. L’infermiere laureato, anche attraverso percorsi di formazione post lauream, può:
– lavorare in qualsiasi contesto di cura, assumendo la responsabilità dell’assistenza generale infermieristica, esprimendo competenze cliniche, relazionali, tecniche e diventando un punto di riferimento importante nell’educazione del paziente applicando strategie di sviluppo della salute e dell’autocura, così come indicato dall’Organizzazione Mondiale alla Sanità;
– assumere la funzione di infermiere di comunità, di distretto o territorio lavorando in autonomia e in forte integrazione con altri operatori sanitari per lo sviluppo di un progetto di presa in carico della persona che ha problemi di salute, nel suo contesto di vita;
– svolgere il ruolo di tutor di altri studenti o infermieri non esperti, di docente per le discipline professionalizzanti in ambito universitario e non, e partecipare attivamente al miglioramento dell’assistenza infermieristica lavorando in gruppi di lavoro, di progetto o di ricerca;
– sviluppare ulteriormente la sua formazione nel campo clinico, della ricerca, della formazione e dell’organizzazione.
Il personale appartenente alle Professioni sanitarie può occupare diversificate posizioni quali:
– professionisti con diploma di laurea o titoli equipollenti;
– professionisti coordinatori in possesso del Master universitario di 1° livello in Management;
– professionisti specialisti in possesso del Master universitario di 1° livello per le funzioni specialistiche;
– professionisti dirigenti in possesso di laurea specialistica.
L’infermiere pediatrico
L’infermieristica pediatrica esisteva come professione, con caratteristiche proprie, già nell’Ottocento, insieme all’infermieristica e all’ostetricia.
L’inizio della disciplina si deve a Charles West, che nel 1852 fu tra i fondatori del “Great Ormond Street Hospital for Sick Children”, che aveva tra i suoi obiettivi la cura dei bambini, lo sviluppo della pediatria e la formazione della figura di “infermiere dei bambini”. Il nuovo ospedale non disponeva di medici residenti, ma solo ad orari o su urgenza e, quindi, il compito delle infermiere era di grande importanza. Secondo West, l’“infermiera dei bambini” doveva avere una preparazione tale da essere in grado di gestire autonomamente le variazioni cliniche dei bambini ricoverati, i loro trattamenti clinici e tutta l’assistenza.
Nel 1853 fu istituito, presso il Great Ormond, il primo corso di formazione per infermiere dei bambini. Nel 1854 Charles West pubblicò il primo manuale di infermieristica pediatrica (How to Nurse Sick Children) in cui si sottolineava l’importanza del gioco e il ruolo delle infermiere nel tenere allegro il bambino, come pure l’importanza del mantenimento dell’igiene dei pazienti e il microclima nel reparto. Era considerata di grande importanza la capacità dell’infermiera di riconoscere dai segni e dai sintomi, nei bambini di diverse età, l’evoluzione delle condizioni cliniche: l’infermiera doveva acquisire la capacità di comprendere il linguaggio del bambino e i segnali nel tipo di pianto e in generale nel comportamento. Inoltre, doveva essere capace di leggere le disposizioni mediche e di redigere appunti accurati sulle condizioni dei pazienti.
West era in contatto con Florence Nightingale, la quale riteneva che i bambini dovessero essere ricoverati insieme agli adulti.
Nella seconda metà dell’Ottocento la necessità di una figura professionale distinta per l’assistenza ai bambini, con un diverso percorso formativo, fu ribadita da Catherine Wood.
In Italia, la figura distinta dell’infermiera dei bambini (“vigilatrice d’infanzia”) venne riconosciuta per legge nel 1940. Solo nel 1955 furono istituiti i Collegi provinciali delle infermiere professionali, vigilatrici d’infanzia e assistenti sanitarie visitatrici, riuniti nella Federazione nazionale Ipasvi, regolamentate da albi professionali distinti.
Le prime scuole per la formazione di questa figura nacquero, negli anni sessanta, a Roma, Firenze, Genova, Trieste e Napoli, in collegamento con centri di assistenza pediatrica.
Successivamente all’istituzione dei primi diplomi universitari in “Scienze infermieristiche” (a.a. 1991-1992), nel 1994 venne definito il profilo professionale dell’infermiere come responsabile di prevenzione e assistenza ai malati e disabili di tutte le età: di conseguenza la figura di “vigilatrice d’infanzia” venne abolita. Nel 1997 venne definito anche il profilo di infermiere pediatrico che abolì, nel 1998, i corsi di formazione per vigilatrici d’infanzia.
L’Infermiere Pediatrico è, quindi, il responsabile dell’assistenza infermieristica pediatrica. Le sue principali funzioni sono la prevenzione delle malattie, l’assistenza dei malati e dei disabili in età evolutiva e l’educazione sanitaria. I laureati in infermieristica pediatrica partecipano all’identificazione dei bisogni di salute fisica e psichica del neonato, del bambino, dell’adolescente, della famiglia; partecipano ad interventi di educazione sanitaria sia nell’ambito della famiglia che della comunità, alla cura di individui sani in età evolutiva nel quadro di programmi di promozione della salute e prevenzione delle malattie e degli incidenti, all’assistenza ambulatoriale, domiciliare e ospedaliera dei neonati, all’assistenza ambulatoriale, domiciliare e ospedaliera dei soggetti di età inferiore a 18 anni, affetti da malattie acute e croniche, alla cura degli individui in età adolescenziale nel quadro dei programmi di prevenzione e supporto socio-sanitario; agiscono sia individualmente sia in collaborazione con gli operatori sanitari e sociali; si avvalgono, ove necessario, dell’opera del personale di supporto per l’espletamento delle loro funzioni.
L’infermiere pediatrico svolge la sua attività professionale in strutture sanitarie, pubbliche o private, nel territorio e nell’assistenza domiciliare, in regime di dipendenza o libero professionale.
Più nel dettaglio, gli infermieri pediatrici svolgono la funzione di prevenzione delle malattie e di assistenza ai malati e ai disabili in età evolutiva.
La pianificazione dell’assistenza pediatrica deve tener conto di alcuni fattori specifici:
- l’età e il grado di sviluppo cognitivo ed emotivo del bambino, che influenzano la comunicazione e le possibilità di approccio;
- l’esigenza di gioco, che può essere un tramite per il bambino per esternare bisogno e desideri.
Inoltre, è necessario tener conto anche del suo contesto familiare e delle figure dei genitori, in particolare della madre, la cui collaborazione è fondamentale come tramite con il malato: i genitori devono essere coinvolti nelle cure igieniche o nell’alimentazione e devono essere sostenuti ed educati alla gestione della malattia.
Nella somministrazione dei farmaci prescritti dal medico per la terapia è necessaria un’attenta valutazione dei dosaggi e dei sistemi di erogazione, e devono essere applicate tutte le strategie per aiutare il bambino nella riduzione del dolore con tecniche di distrazione e/o con l’applicazione di creme anestetiche, come pure con la preparazione dei farmaci fuori dalla sua vista. Inoltre si deve permettere la presenza dei genitori per confortare il bambino, in modo da ottenere da loro maggiore collaborazione.
Per i neonati si applica la tecnica della “saturazione sensoriale”, distraendo e confortando il neonato con massaggio, contatto visivo, parola, olfatto e istillazione di glucosio sulla lingua.
Nella comunicazione è necessario osservare con attenzione il linguaggio non verbale del corpo del bambino e dei genitori, praticando l’ascolto.
Le “strategie di relazione” possono essere utili per comprendere i reali bisogni del paziente e della sua famiglia. A differenza degli altri reparti, in quelli pediatrici medici e infermieri possono avere camici e divise personalizzate per favorire la comunicazione con il bambino.
Il gioco è, quindi, utile per superare paure e traumi e consente di attenuare situazioni di disagio, ma può essere difficile se la malattia presenta difficoltà di movimento, difficoltà visive, di linguaggio e delle capacità cognitive. Anche in questo campo è importante la collaborazione della famiglia.
L’ostetrica
Colei che oggi è conosciuta col titolo di Ostetrica ha origini lontanissime: anticamente era denominata maiai, matrona, levatrice, mammana, comare, ricoglitrice, ecc. ed era considerata la mediatrice dei complessi rituali magico-religiosi della nascita e la depositaria di una “medicina” tradizionale e popolare basata sull’uso di erbe, unguenti interventi manuali, formule magiche e preghiere, finalizzate ai diversi problemi riproduttivi (concepimento, gravidanza, parto, puerperio, ecc.).
Nelle società tradizionali l’ostetrica nacque, quindi, come figura di donna che operava in ambiente femminile e si occupava di affari di donne. Le radici dell’odierna assistenza al parto nascono in occidente nel diciassettesimo secolo quando gli uomini barbieri-cerusici iniziarono a utilizzare la chirurgia ed il forcipe per estrarre i feti. In quel periodo, la vita della donna era sempre prioritaria rispetto alla vita del feto e, a causa della miseria, poche donne potevano permettersi di spendere per il parto; quindi, la maggior parte delle donne preferiva partorire in modo tradizionale con l’assistenza di altre donne, la levatrice per l’appunto.
Con la legge n. 921 del 25 marzo 1937 si regolamenta la professione ostetrica e vi è il cambio di qualifica da “levatrice” ad “ostetrica”.
Oggi l’Ostetrica/o è il professionista che assiste e consiglia la donna nel periodo della gravidanza, parto e puerperio; conduce e porta a termine parti spontanei (eutocici) con propria responsabilità e prestando assistenza al neonato.
I laureati in Ostetricia, per quanto di loro competenza, partecipano ad interventi di educazione sanitaria e sessuale sia nell’ambito della famiglia che nella comunità; alla preparazione psicoprofilattica al parto; alla preparazione e all’assistenza ad interventi ginecologici; alla prevenzione e all’accertamento dei tumori della sfera genitale femminile; ai programmi di assistenza materna e neonatale; come membri dell’equipe sanitaria, gestiscono (nel rispetto dell’etica professionale) gli interventi assistenziali di loro competenza; sono in grado di individuare situazioni potenzialmente patologiche che richiedono l’intervento medico e di praticare, ove occorra, le relative misure di particolare emergenza; svolgono la loro attività professionale in strutture sanitarie, pubbliche o private, in regime di dipendenza o libero-professionale.
Continua…